Al Relais San Vigilio, Davide Suardi trasforma materie prime a chilometro zero in un manifesto gastronomico.
Ecco come a La Cucina chef e sommelier stanno ridefinendo la cucina contemporanea nel cuore della Città Alta, per celebrare territorio, memoria e innovazione sostenibile.
Nel cuore di Bergamo Alta, La Cucina del Relais San Vigilio rappresenta una rivoluzione silenziosa nell’alta ristrazione italiana. Davide Suardi, chef bergamasco classe 1994, ha scelto la strada della “cucina di necessità” che costruisce i menu su materie prime fresche del territorio, nel raggio di venti chilometri dal ristorante. Il suo mantra – “Non siamo noi a scegliere le materie prime. Sono loro a chiamarci” – si traduce in un modello virtuoso dove l’eccellenza tecnica incontra la responsabilità sociale, l’innovazione culinaria si sposa con il rispetto per la tradizione. Lo stesso percorso ovviamnete in sala, grazie alle scelte enologiche del sommelier Gianluca Zani.
Paolo Zani, della famiglia prorpietaria, segue nel dettaglio tutti gli aspetti di gestione ed evoluzione.
La Cucina del Relais San Vigilio: un manifesto gastronomico tra memoria e territorio
C’è qualcosa di profondamente poetico nel modo in cui la famiglia Zani ha scelto di restituire alla città di Bergamo uno dei suoi gioielli più preziosi. Tredici anni di restauro filologico per trasformare un insediamento longobardo del VI secolo in quello che oggi è il Relais San Vigilio rappresentano molto più di un’operazione immobiliare di lusso: sono la testimonianza di come l’imprenditoria italiana, quando animata da una visione autentica, possa diventare custode di memoria e catalizzatore di eccellenza.
«Quando abbiamo scelto di creare un ristorante che completasse l’offerta del nostro Relais, non ci siamo limitati a pensare a un luogo in cui sedersi semplicemente a tavola. Abbiamo voluto fortemente definire un luogo che ricalcasse in maniera coerente il progetto che abbiamo costruito con sforzo e passione» – spiega Paolo, terzogenito della famiglia Zani e proprietario del relais.
Nel punto più alto di Bergamo Alta, dove il panorama si apre sulla pianura padana con una maestosità che toglie il fiato, sorge questo relais che ha saputo coniugare il rispetto per la storia con l’innovazione dell’ospitalità contemporanea.
Ma ciò che rende davvero speciale questo luogo non è solo la sua posizione strategica o l’eleganza degli interni restaurati: è la presenza del Ristorante La Cucina, uno spazio che rappresenta oggi uno degli esempi più interessanti di come si possa fare alta ristorazione senza tradire l’identità territoriale.
Il nome stesso, “La Cucina”, nasconde una complessità semantica che va oltre l’apparente semplicità.
Come sottolinea ancora Paolo Zani:
“Cucina è un termine ambivalente che può rappresentare sia l’azione che il luogo in cui tutto si trasforma”.
È proprio in questa trasformazione che risiede il cuore del progetto gastronomico che ha preso forma tra queste mura storiche, sotto la guida di uno chef che, pur nella sua giovane età, ha saputo sviluppare una visione matura e consapevole del proprio ruolo.
Davide Suardi, classe 1994, bergamasco doc, rappresenta una nuova generazione di cuochi che hanno scelto di non inseguire le mode gastronomiche del momento, ma di radicare profondamente la propria proposta nel territorio di appartenenza. La sua è una storia professionale che merita di essere raccontata perché emblematica di un percorso di crescita autentico, costruito attraverso esperienze formative che lo hanno portato dal Winter Garden Hotel di Bergamo, dove ha imparato il rigore dell’organizzazione sotto la guida di Luca Forlani, fino al Phi Beach in Sardegna, dove ha lavorato come capopartita agli antipasti sotto la direzione di Giancarlo Morelli, confrontandosi con standard qualitativi internazionali e con una brigata multiculturale.
Ma è stato l’incontro con Guido Arturo al San Lorenzo, ex allievo di Gualtiero Marchesi, a segnare davvero la svolta nella formazione di Suardi. Lì ha assorbito non solo tecniche e metodologie, ma soprattutto una filosofia del cucinare che privilegia il rispetto per le basi, l’amore autentico per il mestiere e quella che potremmo definire un’etica della cucina. Quando nel 2019 è approdato ai fuochi de La Cucina, e poi nel pieno della pandemia è stato chiamato a prenderne le redini, aveva già chiaro quale dovesse essere il suo approccio: una cucina “di necessità”, come la definisce lui stesso, che costruisce i menu sulla base di ciò che è fresco e disponibile, in un rapporto diretto e quotidiano con i fornitori del territorio.
Il mantra che guida la sua filosofia culinaria – “Non siamo noi a scegliere le materie prime. Sono loro a chiamarci” – potrebbe sembrare una formula di marketing, ma chi ha avuto modo di osservare Suardi al lavoro, di seguirlo nei suoi rapporti con i fornitori, di comprendere la profondità del suo legame con il territorio bergamasco, sa che si tratta di molto di più. È un approccio che ribalta completamente il paradigma della cucina contemporanea, spesso ossessionata dalla spettacolarizzazione e dalla ricerca dell’effetto sorpresa a tutti i costi.
La rete di fornitori che Suardi ha costruito attorno al ristorante rappresenta un ecosistema virtuoso che meriterebbe di essere studiato come modello di sostenibilità gastronomica. Fabio Magri per la carne, Andrea Soardi della Pescheria Montisola per il pesce, i ragazzi della Piscicoltura Malenca, la storica Farine Riboli: ogni nome corrisponde a una storia, a una relazione umana che va oltre il semplice rapporto commerciale. Suardi li conosce uno a uno, va nei campi, li chiama la domenica, raccoglie erbe spontanee insieme a loro. Si rifornisce per la quasi totalità da orti biologici bergamaschi, in un raggio che raramente supera i venti chilometri dal ristorante.
Questo approccio si traduce in una cucina sincera, diretta, che parla il linguaggio della materia prima senza orpelli o giri di parole. La visione di Suardi si muove nel solco della contemporaneità, ispirata dalle esperienze nordiche di condivisione e valorizzazione del vegetale, ma rimane profondamente radicata nei sapori e nella cultura bergamasca.
“Non mi interessa stupire con tecnicismi”, dice lo chef, “voglio emozionare con il gusto. Voglio che chi si siede qui esca sazio, soddisfatto, contento. Voglio che abbia il desiderio di tornare”.
È una dichiarazione di intenti all’apparenza quasi banale, ma che in realtà nasconde una complessità notevole. In un’epoca in cui la ristorazione di alto livello sembra spesso più interessata a sorprendere che a nutrire, più attenta all’Instagram del piatto che alla sua sostanza organolettica, l’approccio di Suardi rappresenta una sorta di manifesto di resistenza. La sua cucina privilegia la sostanza alla forma, il gusto all’estetica, la soddisfazione del palato alla spettacolarizzazione del gesto culinario.
Il piatto che meglio sintetizza questa filosofia è senza dubbio il “Plin ripieno di Coniglio Occhio Nero alla bergamasca, agrì di Valtorta e salsa al Macvin du Jura”, che rappresenta il signature dish del ristorante e, in un certo senso, il manifesto culinario di Suardi. La scelta del coniglio non è casuale: si tratta di un animale che fa parte della tradizione domenicale bergamasca, legato ai ricordi d’infanzia, alle riunioni familiari, a quella dimensione domestica e affettiva che spesso la ristorazione contemporanea ha smarrito nella ricerca dell’originalità a tutti i costi.
Ma Suardi non si limita a una citazione nostalgica. Il coniglio “Occhio Nero” che utilizza proviene dalla Macelleria Magri di Chiuduno, in una filiera esclusiva che garantisce la tracciabilità e la qualità dell’animale.
Viene lavorato secondo una filosofia rigorosamente no-waste: cosce, sovracosce e pancia vengono grigliate alla brace e poi rosolate al tegame con cipolla dorata e pancetta bergamasca, sfumate con vino bianco e cotte nel fondo ottenuto dalle ossa dell’animale, con abbondante rosmarino. Una volta che le carni si staccano dalle ossa, vengono spolpate a mano e battute al coltello con le rigaglie e altro rosmarino.
Il ripieno così ottenuto viene custodito da una pasta all’uovo realizzata unicamente con tuorli e farine dell’Azienda Agricola Riboli di Nembro e olio extravergine d’oliva del Castelletto di Tribulina. Ogni ingrediente racconta una storia, ogni elemento rimanda a un produttore specifico, a un territorio preciso, a una relazione consolidata nel tempo. Il piatto viene completato con una crema di Agrì di Valtorta, presidio Slow Food che rappresenta una delle eccellenze casearie bergamasche più rare e preziose, controfiletto di coniglio precedentemente abbattuto servito in tartare, e una salsa al Macvin de Jura che, pur rappresentando l’unica digressione dal rigoroso chilometro zero, chiude la composizione con un contrappunto di freschezza e acidità che eleva l’insieme.
Il risultato è un piatto di straordinaria complessità emotiva e gustativa, capace di evocare ricordi proustiani e al tempo stesso di sorprendere per l’eleganza della composizione e la raffinatezza dell’esecuzione. È un perfetto esempio di come si possa fare alta cucina senza tradire le proprie radici, anzi utilizzandole come fonte di ispirazione e di identità.
La proposta gastronomica de La Cucina non si esaurisce ovviamente nel piatto signature, ma si articola in una carta che cambia settimanalmente in base alla disponibilità degli ingredienti e alla stagionalità. L’offerta à la carte, che comprende sei antipasti, cinque primi, cinque secondi e quattro dessert, è affiancata da un percorso di degustazione “alla cieca” in cinque portate che costa 75 euro e che rappresenta forse l’esperienza più autentica per comprendere la filosofia del ristorante. Questa formula, che privilegia la sorpresa alla prevedibilità, alterna zuppe di legumi e brasati invernali, crudi di lago primaverili e, nella stagione estiva, crudi del Mediterraneo, sempre nel rispetto di una filosofia “Km Zero” che si estende a tutta la penisola italiana.
Particolare attenzione è dedicata al mondo vegetale, che occupa un ruolo sempre più protagonista nella proposta di Suardi. Non si tratta di una scelta ideologica o di una concessione alle mode del momento, ma di una sfida creativa che nasce dalla convinzione che il vegetale abbia un potenziale espressivo enorme e possa raccontare il territorio con una forza particolare.
“Con una cipolla puoi creare meraviglia, emozione, sorpresa”, dice lo chef. “Il vegetale ha un potenziale enorme e racconta il territorio con forza”.
A completare l’esperienza gastronomica contribuisce in modo determinante la proposta enologica curata da Gianluca Zani, rappresentante della quarta generazione della famiglia di ristoratori e sommelier con una formazione di alto livello, completata con il Master di Comunicazione, Gestione e Marketing del Vino dell’Alma sotto la guida di Alfio Ghezzi. La sua carta dei vini, che comprende oltre 350 etichette per un totale di più di 2.500 bottiglie, rappresenta un viaggio nell’eccellenza vitivinicola italiana e internazionale, con una particolare attenzione alle produzioni artigianali e al rapporto autentico con il terroir.
La struttura della carta riflette la stessa filosofia che anima la cucina: un forte radicamento nel territorio bergamasco, con una selezione che privilegia i produttori locali e che nasce dalla conoscenza diretta che Gianluca ha sviluppato attraverso anni di ricerca e di relazioni personali con oltre quaranta aziende del territorio. Ma non mancano vini di personalità dall’Italia intera e dall’estero, con la Francia che gioca un ruolo predominante grazie a oltre sessanta etichette di champagne e a una selezione di grandi cru borgognoni e bordolesi che testimonia la cultura enologica internazionale del sommelier.
Le quattro cantine refrigerate, ognuna dotata di controllo climatico individuale, permettono invecchiamenti programmati e garantiscono l’assoluta integrità delle bottiglie. Il servizio al calice si avvale del sistema Coravin per offrire sempre il massimo della freschezza, con venti referenze disponibili su richiesta, mentre la possibilità di ordinare mezze bottiglie per una selezione di rossi e bianchi fermi permette di esplorare abbinamenti diversi senza dover necessariamente impegnarsi su una bottiglia intera.
La passione di Gianluca Zani per il territorio si manifesta anche attraverso l’organizzazione di “Mura in Fermento”, una rassegna di appuntamenti che dal 2021 porta al ristorante i produttori vinicoli orobici per presentare le nuove annate direttamente al tavolo, in un confronto che coinvolge anche birre artigianali e distillati locali. Questi eventi nascono dalla convinzione che il vino non sia solo un accompagnamento al cibo, ma un racconto parallelo alla cucina, un modo per approfondire la conoscenza del territorio e delle sue eccellenze attraverso degustazioni comparative e approfondimenti tecnici.
Anche le Cene in Fermento sono eventi caratteristici di questa realtà.
Leggi QUI la nostra esperienza ad una di queste cene, la quattro mani con lo chef Angelo Bonfitto.
Durante le stagioni fredde e primaverili, un momento clou dell’esperienza gastronomica è rappresentato dal carrello dei formaggi, curato sempre da Gianluca Zani con la stessa attenzione maniacale che dedica alla selezione dei vini. La proposta celebra le nove DOP bergamasche e il loro ruolo di primordine nel panorama caseario europeo, privilegiando i formaggi d’alpeggio, non pastorizzati e fermier, sempre in un rapporto diretto con i produttori. È un omaggio alla tradizione casearia orobica che trova nelle Prealpi bergamasche un territorio vocato per eccellenza alla produzione di formaggi di alta qualità.
Nei mesi estivi, il carrello lascia spazio ai crudi del Mediterraneo, in una evoluzione stagionale che amplia la filosofia del “Km Zero” alla dimensione “Km Italia”, senza mai tradire l’attenzione per la qualità, la stagionalità e la sostenibilità che caratterizza tutto il progetto gastronomico del ristorante.
L’ambiente in cui si consuma questa esperienza contribuisce in modo determinante al suo fascino. Gli interni de La Cucina sono caldi e accoglienti, corredati da luci d’atmosfera e complementi d’arredo di arte contemporanea che dialogano armoniosamente con l’architettura storica del relais. I pochi tavoli, sapientemente distanziati tra loro per garantire la giusta privacy, sono disposti di fronte alla cucina a vista, che invita alla partecipazione emotiva del processo creativo. Una sala privata custodisce un elegante chef table in grado di ospitare fino a otto persone, per un’esperienza ancora più esclusiva e ravvicinata.
Ma è durante la bella stagione che La Cucina rivela tutto il suo fascino, quando l’esperienza si trasferisce sulla terrazza panoramica affacciata sulla città bassa. I tavoli sono situati all’ombra dei tigli e sotto un pergolato su cui si arrampicano rose senza spine di rara bellezza, in uno scenario che ha dell’incantevole e che rappresenta uno dei punti panoramici più suggestivi di tutta Bergamo. Il servizio di sala, attento, rapido e sempre cordiale, completata un’esperienza che sa coniugare eccellenza gastronomica e piacere del convivio.
Ciò che rende davvero speciale La Cucina del Relais San Vigilio, al di là della qualità indiscutibile della proposta gastronomica ed enologica, è la capacità di rappresentare un modello di eccellenza sostenibile che altre realtà del settore farebbero bene a studiare e, dove possibile, a emulare. Non si tratta semplicemente di seguire le mode del momento o di aderire superficialmente ai principi della sostenibilità, ma di costruire un sistema virtuoso che coinvolge l’intera filiera, dai produttori ai consumatori, in un rapporto di reciproco rispetto e valorizzazione.
La brigata giovane e motivata che lavora al fianco di Suardi, selezionata e formata con cura da Paolo Zani, rappresenta il futuro di questa realtà e testimonia come sia possibile trasmettere valori autentici attraverso l’esempio e la dedizione quotidiana. È un modello che dimostra come l’alta ristorazione possa essere al tempo stesso espressione di eccellenza tecnica e di responsabilità sociale, di innovazione culinaria e di rispetto per la tradizione, di apertura internazionale e di radicamento territoriale.
In un panorama gastronomico spesso caratterizzato dall’omologazione e dalla ricerca dell’effetto a tutti i costi, La Cucina del Relais San Vigilio rappresenta una voce autentica e originale, capace di parlare il linguaggio universale del gusto senza dimenticare mai le proprie radici.
È un luogo dove l’ospitalità si intreccia con la memoria, la natura e la passione, in un invito a riscoprire il piacere del gesto semplice, quello di sedersi a tavola e lasciarsi sorprendere dalla bellezza di un territorio che sa ancora raccontare storie autentiche attraverso i suoi sapori.
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