Co(s)toletta alla milanese: storia, ricette e aneddoti.

Costoletta alla milanese o cotoletta?

Di vitello, di maiale o altro?

Con l’osso o senza?

Qualche tempo fa, in occasione di una cena con allevatori suinicoli, lo chef (Davide Castoldi), in onore della tipologia merceologica degli organizzatori, ha presentato una “orecchia di elefante alla milanese” fatta con carne di maiale. La cosa ha alzato (non tra i presenti, ma tra i lettori della recensione) alcune perplessità e un po’ di dibattito sulla correttezza della ricetta. Le perplessità erano presto risolte, visto appunto che la scelta del maiale dipendeva solo da un tema specifico della cena in questione, ma l’occasione mi ha dato modo di poter approfondire questo aspetto, ed ecco quindi un po’ di storia e di “cultura” sulla tipica e tradizionale co(s)toletta alla milanese.

Innanzitutto: la cotoletta alla milanese (cutelèta  in dialetto lombardo occidentale) è, insieme al risotto alla milanese e al panettone, il piatto più tipico e conosciuto di Milano.

Secondo “Un codice della cucina lombarda” di Regione Lombardia: la cotoletta consiste, tradizionalmente, in una fetta di lombata di vitello con l’osso, impanata e fritta nel burro, il quale alla fine viene anche versato sulla cotoletta. Versioni moderne tendono a evitare quest’ultimo passaggio e a sostituire il burro con fettine di limone che vengono spremute dal commensale una volta che il piatto è stato servito. Alla versione tradizionale, più alta, in cui la carne resta morbida e deve mantenere un bel colore rosato vicino all’osso, si è affiancata negli ultimi anni una versione più sottile, senza osso, dove la carne viene battuta fino all’evanescenza prima dell’impanatura. Quest’ultima, dove il sapore della carne viene praticamente annullato dalla prevalenza della crosta molto croccante, viene anche detta oreggia d’elefant (orecchia d’elefante), per la caratteristica forma che assume. “Fragranza dell’impanatura e morbidezza della carne sono il “segreto” della cotoletta alla milanese e dosando con perizia l’impanatura, gli ingredienti (ad esempio mollica di pane bianco raffermo ma non vecchio) e temperatura della fiamma si possono ottenere risultati ottimi”. Questi i consigli contenuti in “I cotelett a la milanesa” di Giuseppe Fontana, poeta e gastronomo milanese, che è stato chef del noto ristorante Savini, dal 1905 al 1929. Una recente versione della cotoletta, preparata soprattutto nella stagione estiva, prevede di servirla fredda coperta da pomodori, tagliati in pezzi sottili, e rucola.

Un po’ di storia

Secondo alcuni storici, la prima indicazione della cotoletta nella cucina Milanese risale al piatto di “lombolos cum panitio” contenuto nell’elenco delle portate del pranzo dei canonici di Sant’Ambrogio durante le festività solenni nel secolo duodecimo, descrizione riportata da Pietro Verri

«pullos frigidos, gambas de vino, et carnem porcinam frigidam: in secunda, pullos plenos, carnem vaccinam cum piperata, et turtellam de lavezolo: in tertia, pullos rostidos, lombolos cum panitio, et porcellos plenos» (P. Verri, Storia di Milano, cap VI)

Sulla base di questa citazione il Comune di Milano, il 17 marzo 2008, con una delibera ha assegnato “la denominazione comunale” (De.Co.) alla “Costoletta alla Milanese” con la seguente scheda di presentazione:

“Delle costolette alla milanese “lombolos cum panitio” si parla in una lista di un pranzo offerto nel 1134 da un abate dei monaci di S. Ambrogio, riportato nella Storia di Milano del Verri”  (quella sopra citata) Questa affermazione però non è accettata da tutti gli studiosi. La prima ricetta definita alla milanese è nell’opera di Giuseppe Sorbiatti Gastronomia Moderna, Milano 1855, in cui si parla di costoline di vitello fritte alla milanese: “allestite sottilmente sei costoline con garbo, immergetele nell’uovo battuto, indi imborraggiatele di pane, fatele soffriggere a fuoco lento da una parte a calor biondo, rivolgetele, salatele, e dopo due minuti servitele sul piatto aperse del loro burro, con del limone a parte”. La cotoletta alla milanese viene descritta anche dal Radetzky che a margine di un rapporto diretto al Conte Attems, aiutante di campo di Francesco Giuseppe, scriveva che a Milano si mangiava un’ottima cotoletta, passata all’uovo, impanata e fritta nel burro, a differenza della viennese, sottile infarinata e non di vitello. E da qui nasce un dubbio, che sembra rimanere irrisolto, o meglio ognuno lo risolve a suo piacere:

si dice COTOLETTA alla MILANESE o COSTOLETTA alla MILANESE?

Il dizionario DEVOTO-OLI riporta queste diciture:

  • per  Costoletta:  “costola di animale macellato con la carne che vi aderisce, da cuocere sulla gratella o in padella”, un taglio di carne con l’osso, quindi, ottenuto dalla lombata o dal carrè di animali da macello”
  • per Cotoletta, invece: “fetta di carne, con o senz’osso, passata nell’uovo, impanata e fritta con olio o burro; lo stesso, ma oggi più comunemente usato che Costoletta: “derivata dal francese côtelette, dim. di côte = costa, costola”.

Cotoletta, dunque, trattandosi di carne impanata e cotta, sarebbe il nome di una preparazione. Enzo Lo Scalzo, giornalista di ASA (Associazione Stampa Agroalimentare) ed appassionato esperto di Agorà Ambrosiana fa notare che, in una indagine compiuta tra i ricettari di questo secolo, sono a favore del termine “COSTOLETTA”:

  • La Guida dell’Accademia Italiana della Cucina
  • La vera cucina milanese, AA VV, Libreria Meravigli
  • Il Grande Libro, della Cucina Italiana, AA VV, Mondadori
  • Ada Boni ne “Il Talismano della felicità”
  • In Cucina con Fernanda Gosetti
  • Ottorina Perna Bozzi in “La Lombardia in Cucina”
  • La Cusina de Milan, Libreria Milanese
  • … e altri.

Sono invece per “COTOLETTA”:

  • Dr. Livio Cerini di Castegnate in “Saggio di cucina milanese”
  • Mila Contini in “Milano in Bocca”
  • “Per un Codice della Cucina Lombarda” di AA VV per la Regione Lombardia
  • Giovanni Nuvoletti Perdomini in “La Cucina d’Oro”
  • Guarnaschelli Gotti in “Enciclopedia Illustrata della Gastronomia”
  • Ottorina Perna Bozzi in “Vecchia Milano in Cucina”
  • Allan Bay e Paola Salvatori in “La Cucina Nazionale Italiana”
  • … e altri.

La discussione come si diceva sembra rivelarsi infinita, per una confusione che dura da epoca immemorabile, e allora ognuno la chiami come più le aggrada, una S di mezzo non dovrebbe cambiare il sapore di quello che c’è nel piatto!

Origini italiane o austriache?

Ma c’è un altro quesito che ha appassionato gli storici ed i gastronomi per molto tempo: è quello sulla primogenitura del piatto, se cioè sia nata prima la “Cotoletta” alla Milanese oppure la somigliante (all’apparenza) wiener schnitzel austriaca. Infatti la cotoletta è al centro di una disputa accademica fra la cucina italiana, che appunto la considera “milanese”, e la cucina austriaca, secondo cui sarebbe solo una versione della Wiener Schnitzel viennese. Forse versioni di Schnitzel precedenti a quella milanese esistevano già in Austria, ma infarinate e non impanate: lo suggerirebbero delle note a margine di un rapporto – più leggendario che reale – del maresciallo Josef Radetzky che riportavano di una cotoletta cucinata a Milano che prima era passata nell’uovo e poi fritta nel burro, e che a differenza della viennese era impanata. Al di là dell’esistenza o meno di questo carteggio tra il Maresciallo Radetzky ed il Conte Attems, che potrebbe fugare ogni dubbio, ma che non si trova, la “similare” wiener schnitzel austriaca mostra queste differenze sostanziali con la costoletta alla Milanese:

  • la wienner schnitzel è solitamente ricavata dal maiale e non dal vitello, come la costoletta alla milanese;
  • è senz’osso, quindi può essere ottenuta da vari tagli, per esempio dalla fesa o dalla noce e non dalla lombata come la “Milano”;
  • è sottilissima, larghissima e ben battuta, come le odierne e modaiole “orecchie d’elefante”, mentre la “Milanese” è alta quanto l’osso;
  • viene infarinata prima della cottura, mentre la costoletta alla Milanese la farina nemmeno la vede;
  • per friggerla in passato veniva utilizzato solo lo strutto (il grasso del maiale è il grasso di cottura più a buon mercato) ora anche il burro, mentre con quest’ultimo da sempre si cucina la costoletta.

Questa specialità austriaca perciò è una cotoletta, cioè una carne impanata e fritta (come abbiamo visto prima dalla definizione del Devoto-Oli), ma della “Milanese” ha poco o nulla. Quindi, anche nel caso in cui la specialità d’oltralpe fosse nata prima, non risulterebbe chiaro che cosa i milanesi avrebbero appreso o copiato da essa.

A conferma di questa interpretazione, l’esperta gastronoma e scrittrice Ottorina Perna Bozzi sottolinea nel suo libro “La Lombardia in cucina” (pagg. 187-189):  “…chissà perché si fanno tante discussioni per decidere se la costoletta milanese è stata copiata dalla viennese o viceversa. Con altrettante ragioni, e forse una di più, si potrebbe fare lo stesso discorso per le braciole d’abbacchio panate alla romana, perché anche quelle sono tagliate nel lombo ed hanno l’osso, mentre le viennesi sono di fesa e sono quasi sempre di maiale e non di vitello come le nostre. Ma la differenza sta soprattutto nel fatto che le viennesi sono sottilissime, ben battute e larghissime, passate nella farina, nell’uovo sbattuto e poi nel pangrattato, mentre le nostre devono essere alte quanto l’osso, poco battute e impanate passandole nell’uovo sbattuto e poi subito nel pangrattato.”

Alla luce di queste informazioni, ognuno decida se mangiare cotolette o costolette, ma sappia che quella milanese è assolutamente di vitello, con l’osso, impanata e fritta nel burro. Tutto il resto è austriaco. O comunque non “milanese De.co”!

E poi resta alla memoria la cotoletta alla milanese più grande del mondo: la celebre Orecchia di Elefante di Chicco e Bobo Cerea, 2,5 kg di pura razza Fassone per realizzare un piatto leggendario sempre in carta nel celebre ristorante 3 stelle Michelin Da Vittorio a Brusaporto.

        O ancora quella “storica” del Garghet di Milano, ricca di sapori e di tanti aneddoti!

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