Ristorante Opera a Torino, il regno dello chef Stefano Sforza e della sua brigata.
Rispetto per l’ambiente, sostenibilità, attenzione al vegetale, studio estremo.
Ci siamo avvicinati alla cucina di Opera con grande curiosità e rispetto.
Curiosità per l’ “ingegno e creatività” che accompagna il nome del locale, già di per sé uno spettacolo: Opera, come opera d’arte, come rappresentazione teatrale, come genio e creazione appunto….
Rispetto per le scelte etiche dello chef Stefano Sforza e di tutta la sua brigata, proprietà compresa.
Risposta totale alla richiesta del Wwf, insomma!
Di certo un grande sforzo di immagine, quanti vanno al ristorante e vogliono, pretendono il foie gras? Per molti è un must, una delizia, un “mai più senza”….e invece lo chef Sforza ha invertito la rotta.
Chapeu!
Intanto l’ambiente ringrazia, e anche noi con lui, perché poi quando ci si siede alla tavola di Opera e lo spettacolo inizia, ci si ritrova in una dimensione speciale, di piena armonia con l’ambiente e con i piatti, sinceramente coinvolti dai racconti dei vini e moralmente appagati dalla scelta etica dello chef e di conseguenza della nostra! Del resto come ci spiega lo chef quando ci accoglie, ogni privazione porta ricerca e questa eliminazione dalla carta di elementi che apparivano fondamentali ha stimolato inventiva e (vedi che ritornano sempre) ingegno e creatività per sostituirli, o meglio per non farne sentire la necessità, tanto si è appagati dalla proposta a tavola, vegetale inclusa. Sì, perché una delle voci importante del menu è proprio quella vegetariana, un menu interamente dedicato ad un elemento dell’orto, anche se l’attenzione per la parte non proteica della carta è evidente anche nel resto delle proposte. Tante verdure, sempre e ovunque, quelle che lo chef acquista giornalmente al mercato di Porta Palazzo, il mercato coperto più grande d’Europa, dove lui stesso ammette “nascono la maggior parte delle idee!”. Tante verdure, sempre e ovunque, anche quelle che si coltiva da solo, nel neonato orto della proprietà del ristorante, pensando al metodo e al rigore di Enrico Crippa e cercando di portarselo a casa….
“è bello quando ti arriva il pomodoro dall’orto, perché è una storia in più da raccontare al cliente!”.
Adora lavorare con le verdure, ce lo ripete durante la nostra chiacchierata, quasi come un mantra. Lo trova appagante, stimolante, soprattutto nello studio e nella ricerca delle consistenze che si possono ottenere. Siamo incuriositi dal menu vegetale, che nel periodo della nostra visita ha come protagonista il carciofo, mentre tempo prima c’era stata l’intera proposta al pomodoro (Chef, ce la rifai?!) e poi quella al cavolfiore (“forse un po’ azzardato”). Il prossimo sarà l’asparago, ma non si sa quando potremo degustarlo visto il periodo. Però ci saremo, in prima fila, anche perché l’anticipazione ci ha stregati:
“Sono partito dal dessert, che sarà molto scenografico, rappresenterà una raccolta di un asparago all’interno di un contenitore con della terra, che non sarà terra ma cioccolato…”.
Basta non ci svela altro, ma è sufficiente per farci desiderare di tornare. Intanto se volete avere una ricetta fresca e primaverile dello chef eccola qui, con asparagi, uova e pompelmo rosa.
Chef crea per noi!
E Carlo Salino, il sommelier, ci accompagna sapientemente (che poi a fine pranzo si trasforma in divinamente!) con una serie di calici alla scoperta di etichette internazionali tutte con una storia che lui sa raccontare in modo coinvolgente e appassionato. E Gualtiero Perlo ci racconta ogni piatto… Lo spettacolo inizia con un’entrée di benvenuto a cui “lo chef non può più rinunciare” ci svela Gualtiero, sicuramente consapevole che non ne potremo più fare a meno nemmeno noi (!) e che quindi inseriamo nei signature dish di questo luogo:
- un uovo cotto al barbecue, un tuorlo montato e una spuma di broccolo in purezza; una royale di zucca con grani di senape antica;
- una pasta brisèe al parmigiano con crema al parmigiano, barbabietola in carpione e caviale di aceto balsamico;
- chips di pane croccante con humus di ceci e maionese di soia;
- oliva ricreata con rivestimento esterno di cioccolato bianco e all’interno una tapenade di olive taggiasche.
Il tutto accompagnato da un Alta Langa Marcalberto 2016, una delle 50 mila bottiglie prodotte.
Ed ora, come un’Opera teatrale, si apre il sipario davvero.
Un sandwich di trota affumicata ben affiancata da un cocktail con un profumo aromatico affumicato, quasi tabacco, pulito morbido e dissetante.
Esiste anche il pane, non ce ne siamo dimenticati!
Arriva in pompa magna, una preparazione fatta in casa con tre diverse farine, tutte biologiche e macinate a pietra, provenienza Fossano, Molino Fruttero. Una lunga lievitazione di circa 20 ore con lievito madre al cento per cento, il tutto accompagnato da un burro aromatizzato al limone e completato con un pizzico di sale nero in superficie. Abbiamo già detto Applausi?! Il piatto anni ’80 rivisitato dallo chef è qualcosa di spettacolare: uno “spaghettone “panna” vodka e salmone” in versione satira.
- una spuma di carciofo insieme al sorbetto alla menta con alla base la parte croccante di mandorle sabbiate
- una spuma di cocco con sorbetto al mango coperta da una classica meringa, aromatizzata al lime e affumicata con legno di ciliegio.
Stefano Sforza lo scorso anno è stato nominato Chef Emergente, dopo un ricco passato di esperienze importanti. Classe 1986, arriva dalla scuola alberghiera dove l’incontro con Piero Bussetti l’ha introdotto alla grande cucina. Un passaggio da Ducasse lo ha illuminato sulla sua vera strada, capendo il rigore e l precisione necessari in questo lavoro. Altro significative esperienze che lo hanno formato anche dal punto di vista dell’organizzazione sono state il Bellevue di Cogne, il Del Cambio di Torino, il Trussardi alla Scala di Milano con Luigi Taglienti (“persona molto dura all’inizio ma che se capisce che gli stai dietro ti valorizza, così succede nelle brigate grandi”), fino al Turin Palace. Da qui poi ha sposato il progetto della famiglia Cometto, approdando appunto a Opera in qualità di Executive Chef, con l’idea di coniugare rigore tecnico, creatività e attenzione alla sostenibilità.
“Mi sono innamorato del posto appena sono entrato col fascino dei mattoni antichi. Era il refettorio e la foresteria del convento che abbiamo di fianco”.
E da qui parte un grande rigore, rispetto e attenzione per le persone, la salute, i prodotti. E poi ancora l’uso sempre meno evidente di zuccheri nei dolci va a toccare l’aspetto salutistico della cucina; e poi l’uso di detersivi che non danneggiano l’ambiente per lavare le stoviglie va a chiudere il cerchio dell’aspetto sostenibile.
Tanta attenzione al buono, al bello e al salutare. Tanta attenzione al presente e anche al futuro, aspetto fondamentale.
Tanta attenzione alle persone, anche quelle della brigata, con cui esiste un affiatamento evidente, lo si legge, lo si respira. E questo li rende davvero forti, e bravi. Tutti insieme.
“Negli ultimi anni la cucina è stata bombardata ma credo che il trend di bombardamento nei prossimi anni calerà, adesso vincerà chi è più bravo e più forte, chi si è improvvisato non avrà molta strada”.
E alla domanda finale un po’ visionaria ma molto concreta del “Dove ti vedi tra 10 anni” lo chef non ha dubbi:
“Da Opera, lo spero”
e sorridendo sornione aggiunge
“da Opera, magari con un paio di “cose” segnate sulla giacca!”.
E noi glielo auguriamo, con tutto il cuore. Perché è evidente che questo è il suo posto, il suo sogno.
“Al di là delle stelle, è proprio il posto che mi vedo cucito addosso!”.
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