Simone Cantafio, cuoco promessa della cucina italiana! (parte Prima)

Simone Cantafio, il cuoco promessa della cucina italiana!

Direttamente dalla scuola di Marchesi, Cracco, Oldani , Blanc e…

Un incontro un po’ ricercato quello che ho avuto con Simone Cantafio, giovane cuoco con origini calabresi, nato e cresciuto nella provincia di Milano. In epoca di scrittura del libro Storie di cibo nelle Terre di Expo l’interesse era proprio quello di chef e cuochi del territorio del milanese, e il contatto con lui è stato inizialmente “solo” per questa motivazione, ma poi si è aperto un mondo!

Un ragazzo giovane, giovanissimo, appena trentenne, subito apparso determinato, deciso, capace, amante della cucina a livello quasi di DNA!

Quando cresci in una famiglia dove di prima mattina ti svegli con il profumo del ragù, e hai una mamma e una nonna che cucinano benissimo, credo che il tuo destino sia quasi segnato!”

E al di là del destino, Simone il suo percorso di vita se l’è disegnato perfettamente con tenacia, fin da subito, facendo come si suol dire “tutta la gavetta”! Diplomatosi a 17 anni all’istituto alberghiero Carlo Porta di Milano, si è ritrovato non ancora maggiorenne a fare  uno stage nelle cucine di Carlo Cracco, allora Cracco Peck.

E’ stata un’esperienza tutt’altro che semplice, ho iniziato lì  a fare i conti con le prime rinunce, imparando che ognuna di queste sarebbe stata un passo avanti nel mio percorso. Sotto la direzione di Cracco eravamo una squadra compatta, una brigata eccezionale e oggi la maggior parte dirige ristoranti di prestigio, segno che il lavoro, la cura e la dedizione ripagano sempre”.

Parlando del Cracco che tutti conoscono e vedono in televisione, con quei modi bruschi e rudi,  Simone mi confessa che era così anche in cucina, “forse adesso esagera la parte che serve allo spettacolo, ma il modo in cui ti trattava era quello, e se adesso posso dire che mi è servito tanto, all’epoca in certi momenti non vedevo l’ora di scappare da quelle cucine…”

Terminati studi e stage, arriva un’occasione che rivoluziona, come lui stesso dichiara,  la sua vita: un colloquio al ristorante Gualtiero Marchesi di Erbusco. Gli viene proposto un posto in sala come cameriere, perché all’epoca il posto in cucina “bisognava guadagnarselo” e Simone se l’è guadagnato in pochi mesi!

Sei mesi dopo il mio arrivo sono entrato nella cucina più prestigiosa d’Italia e in quegli anni ho instaurato col Maestro Marchesi un rapporto unico che ci lega ancora oggi. Gli devo davvero molto!”.

E’ quasi commovente vedere ancora con quanta riconoscenza Simone parli del suo grande Maestro, una venerazione sicuramente giustificata dal valore degli insegnamenti ricevuti, e il successo che oggi lo segue ne è la prova evidente.

E’ stato  proprio lui che mi ha proposto a soli ventidue anni di fare un’esperienza estera per apprendere una cucina di rigore, un mondo fatto di gerarchie e codici storici”.

Così nell’ottobre 2008, Simone fa il suo ingresso nel ristorante tre stelle Michelin Georges Blanc in Francia, dando retta al consiglio, quasi imposto, di Marchesi per il quale l’esperienza fuori Italia è un passo obbligato, che ogni grande chef dovrebbe fare.

Da Blanc ho imparato la disciplina, e ho imparato a dire “SI CHEF” (oui chef) anche quando avrei preferito non dirlo!”. Un paio di anni dopo un altro sogno sembra diventare realtà nella vita di Simone: Frederic Blanc, figlio di Georges, lo convoca in ufficio e gli annuncia il suo prossimo passaggio nel “mondo dello chef Michel Bras”.

Ricordo ancora quando al mio arrivo ho incontrato lo chef Régis Saint-Geniez, chef di cucina alla Maison Bras da oltre trent’anni; mi ha scrutato fissandomi con attenzione per qualche minuto e poi mi ha detto ‘Non ho mai assunto un italiano prima d’ora, non farmene pentire!’ Sono state le prime parole che mi ha rivolto!”.

Inizia così un rigido percorso di formazione per Simone, sotto la guida di Michel e Sebastien Bras: dall’Australia a Oxford, in vista dell’importante trasferimento in Giappone, a Toya, a dirigere proprio il prestigioso ristorante Bras, dove attualmente lavora.

In tutti questi viaggi, il legame di Simone con la sua famiglia, e con le sue tradizioni italiane, non è mai mancato, anzi è stato quello che gli ha sempre dato forza, e quando nel settembre 2015 sua madre è venuta a mancare improvvisamente colpita da infarto, a Simone è iniziata a mancare la terra sotto i piedi, si è sentito demotivato e desideroso di rientrare a casa.

Ed è lì che ha scoperto il valore di una seconda famiglia “professionale”:

In un momento di forte sconforto, Michel Bras mi ha preso in disparte e con la stessa dolcezza di un padre mi ha detto ‘Simone, tua mamma ha dato tanto per te e per aiutarti a realizzare il tuo sogno. Ora spetta a te farla rivivere in ogni tuo piatto’..ecco, aveva centrato il punto, dandomi la certezza di poter contare oltre che sulla mia grande famiglia lontana, sulla mia piccola seconda famiglia vicina”.

Ora Simone si trova da mesi in Giappone, sta ottenendo successi e riconoscimenti, e anche tante soddisfazioni.

Lavora sodo, e ha nel cuore e nella testa un sogno che un giorno realizzerà: aprire un suo ristorante, e il passaggio in Giappone è legato anche a questo, visto che come mi spiega, Michel Bras manda in Giappone chi ha un progetto di vita chiaro, perché questa esperienza fornisce delle forti competenze, un stipendio di un certo livello e un curriculum di prestigio.

Il mio sarebbe un progetto con al centro la mia filosofia dall’inizio alla fine”.

E quando gli chiedo quale sia questa filosofia, Simone mi risponde deciso in termini culinari:

Un piatto che racchiude la mia filosofia è il Gargouille di Michel Bras: alla visione sembra un banale insieme di verdure, ma è il piatto che ogni cuoco avrebbe voluto inventare. Racchiude 40 diverse cotture, ed è il piatto che oggi mi rispecchia di più: semplice alla base, complesso a livello tecnico, ricco di emozioni ed esperienze”.

E salutandoci in quella che è ancora la sua casa italiana, dove vive suo padre Pasquale, e dove torna quando ha la possibilità di rientrare, mi lascio incuriosire prima di uscire, da tutte le foto appesa alle pareti: immagini, articoli di giornali, vecchie foto, che in un baleno riassumono tutto quello che Simone mi ha raccontato a parole.

Ci sono tutti: il giovane Marchesi; Carlo Cracco; Davide Oldani; la brigata del Cracco Peck; la classe del Carlo Porta…

E qui comprendo davvero quanto serva la passione e l’amore per questo lavoro, che è tutt’altro che spettacolo televisivo; è dedizione, rinuncia, sacrificio (non ci sono foto di vacanze al mare o di fidanzate!).

E’ saper portare in un piatto tutta la propria vita, le proprie esperienze, il proprio essere. Solo così, mi conferma Simone, “si diventa un grande chef!”.

Nota: qui termina la prima parte del mio articolo su Simone Cantafio. La seconda, che pubblicherò a breve, riguarda prettamente la sua esperienza giapponese. Ho voluto separare i due articoli sia per lunghezza sia per dividere in qualche modo quelli che io considero:  il giovane Simone prima e  lo chef Cantafio adesso 😉